Domanda
Gentile dottoressa Agnone,
sono la zia di una bimba di 10 anni, solare e molto intelligente. Circa 6 anni fa mia sorella (la mamma della bambina) e suo marito si sono separati e il papà della bimba è andato a vivere in un’altra città pur continuando a vedere la bambina qualche ora un giorno a settimana, e per l’intero weekend ogni 15 giorni.
A parte qualche naturale “crisi” dovuta a questa situazione la bimba sembre crescere serena e gioiosa, ma a volte è presa da paure inspiegabili.
Le faccio qualche esempio.
Sono ormai 5 anni che le maestre a scuola sostengono che la bimba sia intelligente e capace, ma estremamente insicura. Pur se preparata sulla lezione, a scuola chiede conferma mille volte alle maestre sul suo operato. Tanto che da ormai 5 anni riceve voti in pagella più bassi di quelli che potrebbe ricevere perchè le maestre cercano di sponarla, ma senza esito. Inoltre qualche tempo fa la maestra ha somministrato agli alunni un test di preparazione alla scuole medie e, secondo il racconto dell’insegnante, la piccola si è bloccata dalla paura e non ha risposto a nessuna domanda! La maestra è certa che la bimba fosse perfettamente in grado di eseguire il compito.
L’ultimo episodio è di ieri. Da 3 anni la piccola frequenta un corso di pallavolo nella palestra del suo paese. L’insegnante è una specie di “mamma” protettiva e rassicurante, la bambina va molto volentieri e con risultati buoni, tanto che ultimamente la maestra la coinvolge in vere e proprie partite. Ieri avrebbe dovuto disputarne una. La maestra ha chiesto a mia sorella il consenso di farla partecipare, mia sorella ne ha parlato con la bambina che sembrava entusiasta. Eppure ieri, pochi minuti prima di entrare, è scoppiata a piangere e non ha giocato nemmeno cinque minuti.
Diceva di avere paura. Ma di cosa?
E’ un normale comportamento legato all’età? o forse è frutto delle insicurezze legate alla sua situazione familiare?
Nel frattempo 10 mesi fa è nata la mia bambina e la mia nipotina si è trovata a “condividere” nonni, zii e, in piccola parte pure la mamma, con questa piccolina che, naturalmente, attira molte attenzioni. Puo’ aver influito sulla sua sicurezza?
La ringrazio molto per l’aiuto che potrà darci!
Risposta
Cara zia,
trovo bello e “particolare” che la richiesta arrivi proprio da te, e penso alla cura e all’affetto che hai per questa bimba (di solito scrivono le mamme ed i papà). Lo trovo ammirevole, e penso che il tuo rapporto con lei debba essere non solo molto vicino, ma anche una bella risorsa positiva per la sua crescita.
Comincio col rispondere ad una delle tue ultime domande: se la paura è “normale”.
La paura è un vissuto che fa parte dell’esperienza di tutti: il bambino comincia a sperimentarla con più intensità tra i 4 e i 6 anni, quando diventa agente diretto sul mondo che lo circonda, le sue esperienze cognitive e sociali si ampliano, comincia a sperimentarsi in modo sempre più autonomo, se pur non completamente “maturo”. Questa normale immaturità, che via via lascia il posto ad una competenza sempre più sviluppata in ogni campo, gli fa percepire il normale senso di inefficacia soprattutto quando “sbaglia” in qualche compito prima di imparare qualcosa (cosa che capita a tutti normalmente, dato che nessuno è perfetto).
In realtà il senso di sicurezza e di efficacia è un vissuto che si costruisce fin dalla più tenera età, dal momento che dipende da ogni singolo comportamento, anche il più semplice, ed è strettamente legato alla relazione con i genitori, i familiari, e gli adulti significativi che si prendono cura del bambino e che instaurano con lui un rapporto intimo e continuativo.
Il bambino, normalmente “impreparato” e bisognoso di imparare la vita che lo circonda, è rassicurato e contenuto dalle figure genitoriali rispetto alle sue capacità e alla possibilità di “farcela”.
Come si comunicano i vissuti, e come si costruiscono le convinzioni su se stessi e sul mondo?
Ci sono messaggi impliciti di cui nemmeno ci accorgiamo, che passano come esperienze vive, “sulla pelle” di un bambino: rispetto alla fatica, alla vergogna di sbagliare, o al pericolo.
Sin dai primissimi momenti di vita, attraverso segnali impercettibili come il respiro, il modo di tenere in braccio un neonato (o un bambino), la tensione muscolare, il tono della voce, si comunicano delle informazioni a cui un bambino è molto sensibile, e che “registra” con estrema facilità. Non si tratta dunque solo di “contenuto” delle parole, ma anche del “processo” fisiologico con cui si “sta in relazione” col bambino. Noi tutti siamo l’unione di corpo e mente, e con questa “totalità” ci relazioniamo col mondo e con le persone.
Tutte queste cose, che passano attraverso la relazione con i genitori, hanno anche l’importante funzione di insegnare al bambino (attraverso l’esperienza degli adulti) quali pericoli ci sono nel mondo, cosa può danneggiarlo, da cosa deve proteggersi. Senza contare, poi, che nel medesimo modo le paure (anche non giustificate) di un genitore, possono essere “contagiate” al figlio senza troppe parole, solo con un’esperienza corporea e relazionale.
Un bambino che può contare su adulti in grado di incoraggiarlo, contenendo le sue normali paure, e credendo nelle sue capacità, è un bambino che può affrontare il mondo a testa alta. Nella sua “fantasia”, infatti, cimentarsi in compiti che presuppongono un fallimento è una situazione che diminuisce l’affetto o la stima nei suoi confronti: questo il motivo per cui, certe volte, il bambino preferisce non mettersi alla prova.
Rimproverarlo, avere atteggiamenti duri o negativi (come nel caso di tua nipote, che ha ricevuto voti più bassi nella speranza si spronarla), non fa che avere un effetto di rinforzo negativo, verso le sue convinzioni: non ricevere la stima degli adulti (che è il suo più grande timore) non fa trovare a tua nipote il coraggio di sbagliare, facendogli perdere anche la possibilità di mettersi alla prova e di dimostrare le sue capacità (anche a se stessa).
Un bambino che si astiene, si isola, infatti, è un bambino che non gioca: e tutti sappiamo che giocando (e sbagliando!) si impara.
Rimanendo “attaccata” alle sue sicurezze, a quello che conosce, e non cimentandosi in cose nuove per evitare lo stress, questa bimba perde l’opportunità di venire in contatto con cose arricchenti per lei: la gioia del gioco, le relazioni con i coetanei, le “avventure”.
Quello che voglio dirti, in tutto questo, è che la paura ha un ruolo sano ed evolutivo, ma perché non evolva in qualcosa di “ingestibile” per il bambino, è necessario che sia sostenuta dagli adulti: quando la paura ostacola le attività quotidiane, soprattutto se ludiche come la pallavolo, diventa un ostacolo per la crescita serena.
Sulle “cause”: tutto quello che mi racconti sulla vita familiare di tua nipote può aver influito certamente sulla sua crescita, ma non possiamo essere certi che sia “la” causa, o solo una delle tante. Non avendovi incontrati personalmente, non posso esprimermi con certezza sulle motivazioni che nella quotidianità della bimba determinano la sua ansia verso “il mondo”.
Apprezzo la tua sensibilità nel porti questi interrogativi (e dubito che la nascita di una cuginetta possa essere determinante, anche se in ogni contesto tutto può influire), e penso che potresti essere uno strumento prezioso per sensibilizzare i genitori della tua nipotina verso questa situazione.
Quello che posso ipotizzare, con gli elementi a mia disposizione, è che la piccola (che si affaccia ad un’età delicatissima dello sviluppo, la pre-adolescenza) abbia bisogno di una particolare attenzione verso la sua “Paura” (tra l’altro dichiarata). Questo non significa sottoporla a particolari “analisi”, piuttosto, che i suoi genitori (insieme nella funzione genitoriale anche se separati dal punto di vista coniugale) trovino il modo di sostenerla in modo adeguato per superare questo momento di evidente difficoltà.
Senza alcun giudizio di merito sui genitori, su di voi, né su alcuno, immagino che, anche se la bimba ha strutturato alcune convinzioni su se stessa e sulle sue presunte incapacità, finora i familiari abbiano fatto il meglio che era loro possibile perché questo non avvenisse. Resto profondamente convinta che una situazione familiare in cui qualcuno esprime un disagio (il questo caso la piccola) non è facile per nessuno, e che anche i suoi genitori devono aver attraversato delle fasi di vita impegnative.
Mi sento per questo di suggerirti che possano provare a consultare un terapeuta familiare, andando in coppia (SENZA la bambina: la percezione di costituire “un problema” aumenterebbe le sue insicurezze), per raccontare quel che accade a tua nipote, da un po’ di tempo a questa parte. E’ importante da parte loro un po’ di impegno, per farsi aiutare ad avere uno sguardo “d’insieme” certamente più ampio rispetto a quello che potrebbero fare da soli (a maggior ragione perché sono separati, e non gestiscono la quotidianità della piccola in modo compresente: diventa necessario dunque avere un “progetto” di collaborazione tra loro, e con gli insegnanti, che sia coerente). Questi percorsi, come dico sempre, aiutano talvolta a scoprire dettagli che sembrano insignificanti e che invece giocano un ruolo fondamentale nelle situazioni familiari.
Per la bimba: a te, come zia (come per gli altri adulti che interagiscono con lei), suggerisco che nell’immediato possa ricevere gratificazioni verbali rispetto a ciò che sa fare (parlate con gli insegnanti di questa cosa!), e che possa essere sostenuta nel riconoscere che sono tante le sue abilità.
Comprendo che non è l’unica soluzione, dal momento che qualcuno già lo fa (ad esempio l’istruttrice di pallavolo) senza i risultati sperati: questo significa che per la bimba è sicuramente altra la persona da cui vorrebbe sentirsi rassicurata, ma un atteggiamento positivo, unito a tutto il resto, sicuramente agevola un miglioramento nelle sue percezioni.
Ci sono anche dei percorsi esperienziali, dei laboratori, delle attività ludiche (solo se lei ha voglia di partecipare, altrimenti sarebbero una forzatura) che potrebbero essere finalizzati allo scopo di renderla consapevole della sua… “unicità”.
Lo sport è uno di quei contesti che si fonda sulla competizione e sulla prestazione fisica (lo stesso per il test scolastico), quindi non agevola la sua serenità. E’ importante che adesso lei abbia qualche strumento per affrontare i timori che le impediscono di crescere senza ansie.
Mi scuso se nell’essermi dilungata ho perso in chiarezza espositiva, ma spero di averti dato quante più informazioni possibili nello spazio di queste righe.
Se la sinteticità con cui ti ho esposto il mio parere ti ha fatto percepire la bambina come un “caso problematico”, voglio sottolineare che così non è: sono convinta che basti un po’ di sostegno ed il tempo per coordinarsi, e tutto regredirà spontaneamente.
Resto a tua disposizione per qualsiasi chiarimento, e spero tu voglia presto darci buone notizie sulla piccola.
Vi faccio i miei migliori auguri.
Dott.ssa Marcella Agnone – Psicologa Psicoterapeuta
Emanuela dice
Volevo farle i miei complimenti Dottoressa…lei hai un modo di scrivere, di raccontare e spiegare le cose molto comprensibile e nello stesso tempo sa rimanere professionale. Leggendo questa risposta e la risposta che ha dato alla mamma con i 2 figli ho avuto delle risposte alle dinamiche che mettevo in atto nella mia ormai lontana adolescenza. Ora mi conosco ancora meglio. Grazie
Veronica dice
Mi intrometto in punta di piedi perchè non conosco la bambina e la famiglia. Racconto la situazione che mi coinvolgeva da piccola.
Io sono stata una figlia unica di genitori separati e poi tornati insieme continuando a litigare, mia madre era sovraccaricata di responsabilità genitoriali e professionali, competitiva e molto sola, mio padre affettuoso ma egocentrico e infantile.
Io ero molto paurosa, per due motivi: ero affidata ad una nonna di suo molto insicura e mia madre era molto competitiva, cercava in me la grinta, mentre il mio percorso caratteriale era agli antipodi. Ero conservatrice, sognatrice, ma molto fantasiosa e creativa. Odiavo lo sport e la competizione, da cui mi sono sottratta appena ho potuto.
Esistono altri modi per affermarsi, altre forme di leadership. La mia è sempre stata quella emotiva e relazionale, non l’ho scelta, è venuta da sè quando mi sono sentita libera di esprimermi in ciò che desideravo e mi piaceva.
Forse, accanto al prezioso consiglio di uno psicologo, potrebbe essere utile chiedere alla bambina cosa le piace veramente, al di là di quello che le viene proposto, cosa le dà gioia.
Concludo dicendo che anche io avevo una zia speciale, che mi ha sempre dato molta fiducia e a cui ho sempre confidato tutti i miei segreti. Brava zia!
Angela dice
Mi scuso se intervengo, ma mi colpisce molto come viene vista questa bambina di 10 anni da parte della zia. La chiama sempre “piccola” e “bimba”: ecco, non è forse esagerato questo vedere una bambina ormai grande (che sta appunto entrando nella preadolescenza) sempre come piccina?
Angela