Domanda
Gent.ma dott.ssa Agnone,
ho un bambino di 8 anni e uno di 6 anni che sta frequentando la prima elementare.
E’ un bambino molto sensibile, abbastanza timido, non ama essere al centro dell’attenzione, ma non ha problemi di socializzazione: quando è ospite di qualcuno non si crea problemi a chiedere se ha bisogno.
E’ molto “testadura”, non vuole dare assolutamente soddisfazione, ha sempre la risposta pronta.
A casa è sempre allegro, in movimento e vivace.
A scuola preferirebbe non andare, ma non fa storie, tranne qualche volta, ed è abbastanza bravo, però la maestra mi ha detto che ha dei problemi con lui non dal punto di vista dell’apprendimento, ma del carattere, perché è timido, è chiuso, e se non capisce non chiede una nuova spiegazione per non essere sgridato e per non fare brutta figura.
Inoltre, se non sa fare, non vuole provare per non sbagliare ed essere deriso (pensa lui) dai compagni, e sembra che qualsiasi voto sia troppo basso se non è il massimo.
A volte lavora troppo in fretta e quindi non segue bene i comandi.
Ho paura che possa soffrire un po’ la competizione col fratello, che ha un carattere molto aperto, e che a scuola non ha assolutamente problemi (tranne le eccessive chiacchiere), è sempre stato molto curioso e quindi ha imparato a leggere e scrivere presto.
A casa cerco di evitare i confronti, ma di trattarli sempre allo stesso modo, ma non sempre è facile frenare qualche nonno.
Non so come aiutarlo ad aprirsi, ad accettare il confronto e quindi le vittorie e le sconfitte, ad accettare anche la presa in giro, ad imparare dalle sconfitte o a migliorare se si prendono dei voti bassi.
Dovrei portarlo da una psicologa/o???
Grazie per l’aiuto.
Risposte
Cara mamma,
comincerò da un’osservazione banale, forse troppo, che, se anche fosse totalmente sbagliata, mi serve per riflettere qualche istante su questa cosa. Se mi sbaglio puoi tranquillamente non tenerne conto, e andiamo avanti.
Ho letto più volte quello che scrivi, e mi è arrivata la percezione di far fatica a distinguere questi due bimbi: dovevo tornare indietro per rileggere quando ti riferivi ad uno o all’altro.
E’ una cosa grave? No di certo. Una mail si scrive nei momenti più disparati, così come un colloquio con uno psicologo si fa nelle condizioni più diverse, con vari stati d’animo (anche per lo psicologo!), però questo elemento, apparentemente casuale, mi ha aiutato a pensare ad una cosa che talvolta succede ai primogeniti quando ci sono fratellini vicini per età e molto brillanti. Il loro tema è “trovare il proprio spazio”, anche nelle parole della mamma che racconta di loro.
Il comportamento è sempre un appello relazionale, un messaggio per una persona: considerato questo, pensiamo che il tuo primogenito sta cercando di comunicare qualcosa.
Lo descrivi come un bambino sveglio e tranquillo, semplicemente introverso in alcune situazioni: trovo questo ancora più indicativo, dal momento che non esprime un disagio generalizzato. La sua difficoltà è a scuola, con la maestra, quando dev’essere interrogato.
L’interrogazione rappresenta per ogni bambino un momento di valutazione, e alle scuole elementari in particolare diventa il momento in cui altri che non sono strettamente familiari, la maestra, valutano la sua “competenza”.
La sicurezza con cui un bambino può affrontare queste valutazioni si costruisce in un percorso lungo, che dura nel tempo, e che comincia proprio nelle relazioni in famiglia. E’ strettamente legata alla relazione con i genitori, e alle loro reazioni rispetto ai tanti compiti che la vita e la crescita richiedono ad un bambino.
Per noi adulti può anche essere inconsapevole, ma il nostro atteggiamento è in realtà determinante: lo sosteniamo? Lo lodiamo? Lo incoraggiamo?
Dove il bambino impara che è importante essere il più bravo, avere solo i voti più alti, primeggiare o adombrarsi?
E soprattutto: al di là delle nostre parole (spesso irrilevanti), cosa comunichiamo con il nostro corpo, la nostra postura, il nostro respiro, al bambino che normalmente sbaglia, ed impara sbagliando?
Questo credo sia il cuore della questione che tu riporti.
Tuo figlio non sa ancora che sbagliando si impara. Poco importa se qualcuno glielo ha detto: i bambini, che io tanto ammiro per questa loro saggezza innata, leggono il comportamento al di là dei contenuti verbali (noi terapeuti impieghiamo anni di studio per imparare la stessa cosa che loro fanno istintivamente).
Alcune di queste cose, come la rassicurazione sul fatto che “si può” sbagliare, “si può” essere impreparati davanti alla crescita, e che una sconfitta non è umiliante, rimangono scritte “nel corpo” di ciascuno di noi, e saranno “il vestito” con cui in futuro affronteremo la vita.
Le paure del bambino sono perfettamente normali, quel che fa la differenza è il comportamento degli adulti che lo accompagnano nella crescita: che lo sostengono, che contengono le ansie ed i timori, che gli infondono la fiducia per affrontare il mondo con orgoglio di sé.
La valutazione è in questo momento per tuo figlio un ambito rispetto al quale si non si sente all’altezza, e che gli fa temere la perdita dell’amore o della stima, non solo degli adulti, ma anche dei suoi pari: per questo motivo non chiede, non dice “non ho capito”. In questo modo però si “isola”, e corre il rischio di rimanere fuori dall’avventura di imparare cose nuove.
A questo proposito, ti suggerirei di leggere un tema simile, che ho già trattato qui.
https://www.mammaimperfetta.it/2011/03/15/una-bambina-insicura/
Non propenderei esclusivamente al rapporto tra fratelli, per cercare una soluzione a questo momento che sta attraversando: in classe, del resto, non vive la competizione col fratello, ma con altri bambini.
Chiederei collaborazione all’insegnante per strutturare un “progetto” di “rinforzo della fiducia e dell’autostima”, che il piccolo però non può fare da solo, come unico protagonista del cambiamento.
Consiglierei, a te e al papà del piccolo, un consulto da un professionista del vostro territorio, che possa seguirvi in un percorso di sostegno alla genitorialità: è questo il caso in cui potreste aver bisogno di qualcuno che vi aiuti a guardare dall’esterno alcune dinamiche relazionali che intercorrono tra di voi e col bambino, e che vi sostenga nel trovare le modalità migliori per modificare atteggiamenti che certamente avete messo in atto senza alcuna intenzione negativa, ma che rispetto alla sensibilità di vostro figlio si sono rivelati difficili per lui.
Sconsiglierei invece di centrare l’attenzione di un intervento sul bambino, che potrebbe in questo modo percepirsi più problematico di quel che in effetti è: partiamo dal presupposto che vostro figlio non ha un problema, ma sta solo chiedendo aiuto per crescere e adattarsi al cambiamento.
Sono certa che troverete modi nuovi di interagire, sostenendolo, e di costruire insieme la vostra crescita.
Vi faccio i miei migliori auguri e resto a disposizione per dubbi e chiarimenti.
Dott.ssa Marcella Agnone – Psicologa Psicoterapeuta
dott.ssa Marcella Agnone dice
Come avevo scritto, anche io ho fatto fatica, ma non fermiamoci ad un particolare:
il tema potrebbe restare quello di “trovare il proprio spazio, anche nelle parole della mamma che racconta di loro”, ma la richiesta della mamma riguarda come sostenere la sicurezza del proprio figlio nelle situazioni di valutazione.
Essere primo o secondogenito potrebbe essere un particolare irrilevante oppure no, non è facile stabilirlo a distanza, o soltanto attraverso una mail.
Quel che ho commentato nelle righe seguenti, quindi, si attiene ad un’osservazione generale del “comportamento” che la mamma riferisce.
Di più, con questi mezzi, non è possibile stabilire.
Mammaimperfetta dice
Ah, anche io ho fatto fatica a capire la distinzione…
Deborah dice
A dire la verità io dalla mail ho capito che il problema era col secondogenito non col primogenito…..