Domanda
Gentilissima dottoressa Agnone,
La ringrazio anticipatamente per l’attenzione che vorrà riservarmi rispondendo a questa mia richiesta di aiuto.
L’argomento che Le sottoporrò è simile ad altri già trattati, che io ho letto con molto interesse ma ha una connotazione peculiare che mi ha indotta a scriverLe comunque.
Sono separata da sei mesi da mio marito e vivo con le mie bambine, rispettivamente di 8 anni e mezzo e di 1 anno e mezzo.
La mia bimba grande, Sara, è una bimba serena, ho sempre impostato con lei un rapporto leale ed onesto, non le ho mai nascosto la verità anche se dolorosa ma le ho sempre offerto sostegno e comprensione di fronte alle sue piccole crisi. Sara vede suo padre ogni mercoledì pomeriggio e ogni domenica e lo sente al telefono tutte le sere.
Io ho un nuovo compagno che frequenta le bambine regolarmente, Sara è affezionata a lui e lo sente come una presenza necessaria, ha nei suoi confronti gesti d’affetto come baci e abbracci e ha costantemente bisogno di un contatto fisico con lui ma spesso queste manifestazioni che io definisco di affetto si tramutano in giochi maneschi e violenti.
Sara non è una bambina manesca ma ha sempre avuto la necessità di stabilire dei contatti fisici; è spesso capitato in passato che tentasse di abbracciare e baciare le sue amiche e che soffrisse o si arrabbiasse per un loro rifiuto.
Con i grandi è affettuosa e spontanea e nel mio compagno, che con lei ha assunto un ruolo veramente paterno, vede un padre. Mi chiede spesso conferma che non ci lasceremo mai e vuole essere rassicurata in merito.
E’ una situazione positiva, direi, ma non comprendo questi moti violenti, nonostante io la rimproveri spesso e le spieghi che non si fa così, che se ha bisogno di un abbraccio o di una carezza li troverà sempre in ognuno di noi ma che il gioco deve essere un momento divertente per tutti e finché darà calci e pugni nessuno avrà piacere di giocare con lei.
Io mi sono cimentata, da mamma, in un’interpretazione che vorrei sottoporle. Mi accorgo che ha un forte desiderio di dare a Carlo, il mio compagno, il suo affetto e di riceverne ma non avendo ancora molta confidenza con lui, è condizionata e probabilmente prova vergogna, così le viene più facile manifestare il suo affetto con atti di violenza più simili al gioco che cercare effusioni più delicate come fa con me.
Non so come affrontare con lei questo problema, quando io sono presente, lei sa che la sgrido e si controlla di più, ma quando è sola con Carlo si sfoga e ignora completamente le sue continue richieste di non fargli male.
Forse lui è troppo affettuoso e poco autoritario, magari non riconosce in lui un ruolo genitoriale e lo vede solo come un compagno di giochi. Dovrei cedere a Carlo una parte di autorità? Dovrei consigliargli di assumere anche un ruolo educativo e abituarla che non sono più solo io a gestire la sua educazione?
Vorrei che Sara crescesse serena nella nuova famiglia, assicurandole la presenza del padre e offrendole la certezza di avere comunque una famiglia come tutti gli altri; vorrei che fosse equilibrata e riconoscesse in Carlo non solo il mio nuovo fidanzato ma anche una figura paterna in cui trovare affetto, comprensione, sostegno e da cui ricevere una guida costante e forte.
Grazie per la Sua attenzione, so che il suo aiuto sarà preziosissimo.
Risposta
Cara mamma,
ti ringrazio per aver descritto una situazione che oggi è sempre più comune ma non sempre affrontata con consapevolezza di tutte le dinamiche relazionali che si sviluppano al suo interno: quella delle famiglie ricostituite.
La ricostituzione di un nucleo familiare richiede ad ogni bambino una fase di adattamento che è proporzionale all’età del bambino e alle dinamiche che si sviluppano. Ogni caso è diverso dall’altro.
Nonostante tu descriva una situazione molto positiva, voglio ricordare che per ogni bambino è presente un senso di colpevolezza legato alla separazione dei genitori, di cui è responsabile la forma di pensiero auto-riferito che ogni bimbo ha. Quanto sia consapevole, espresso o forte, varia di caso in caso.
Le difficoltà del bambino possono emergere (ed è positivo quando emergono) in vari ambiti, familiare, scolastico, relazionale.
Non è semplice per un bambino ricostruire il proprio senso di appartenenza in presenza di un nuovo nucleo familiare.
La coppia genitoriale è in ogni caso una figura “archetipica”, primordiale, originaria, insomma una radice della nostra esistenza.
Non è facile ridefinire lealtà, affetti, appartenenze, in presenza di più figure che svolgono il ruolo genitoriale, anche laddove queste non esercitano (o almeno così a noi pare) il ruolo educativo, ma hanno una continuità di relazione con i piccoli, tale da stabilire un rapporto “intimo e familiare”, fatto di quotidianità.
Come tu giustamente sottolinei, Carlo, per quanto figura positiva ed encomiabile, non è un padre, non ha le stesse modalità di interazione con le tue figlie, né lo stesso stile o le stesse responsabilità, e questa chiarezza è importante per tutti: il papà non è sostituibile, e questo è un messaggio che alle piccole deve arrivare il modo comprensibile ed adeguato alla loro età.
Ritengo che ci sia un unico modo di entrare nel mondo emotivo del bambino, che, al di là di ogni teoria, ci permette di entrare in contatto con i suoi sentimenti ed i suoi vissuti: ascoltarlo. Dare voce alle sue emozioni, infatti, è l’unico modo di conoscere ciò che davvero prova, anche se questo potrà sorprenderci o spaventarci.
Perché quel che spesso avviene nei casi di separazione è che il bambino, per compiacere uno o entrambi i genitori, esprima solo ciò che pensa possa essere accettato, assicurandosi così una serenità che è già precaria in un contesto affettivo “da ricostruire”.
Grazie alla straordinaria intelligenza emotiva che ogni bambino ha a livello istintivo, utilizza modi di esprimersi che gli garantiscono il migliore adattamento possibile, anche a scapito di una piccola quota di spontaneità.
Andando al tuo caso, cara mamma, io credo che la separazione, e la ricostituzione del nuovo nucleo familiare, sia avvenuta da un tempo davvero breve. Mancano i presupposti perché si possa parlare di equilibri consolidati.
Sono molto contenta di apprendere che tu descrivi la situazione in modo sereno e positivo per tutti, questa è sicuramente la condizione ideale per ricostruire un modo nuovo di vivere insieme.
Penso anche che la situazione che tu sensibilmente hai notato non abbia nulla di particolarmente “grave” per essere attenzionata. Ma il tuo grande istinto materno sa che lì qualcosa di “interessante” sta accadendo.
La mia idea è che col comportamento tua figlia esprima le sue difficoltà (nota bene, non ho usato il termine “problemi”) di adattamento, ben comprensibili in un momento del genere, momento di passaggio e di trasformazione dei legami più importanti della sua vita.
Ribadisco che non è facile per un adulto, ancora di più non lo è per un bambino.
Credo che nei confronti del tuo nuovo compagno Sara viva la dovuta situazione di ambivalenza, legata alla “doppia-presenza” di una figura genitoriale maschile nella sua vita.
Mi chiederei se i tempi che hai seguito, e che sono stati buoni per te, lo siano ugualmente per lei e per la sua età.
Non metto in dubbio che col nuovo compagno ci sia un rapporto positivo, e questo non può che essere auspicabile in ogni situazione. Credo che Sara trarrà da ciò un grande beneficio sul lungo periodo.
Non è automatico, però, che lei debba accettare questa nuova presenza nella sua vita affettiva, senza alcuna remora e senza alcuna manifestazione di aggressività nei suoi confronti, essendo fin troppo facile pensare che questa persona abbia la sua responsabilità nella separazione dei suoi genitori.
Io non ritengo questo debba essere preoccupante, rispetto al fatto che l’aggressività è una forza vitale estremamente importante, ed esprime un adattamento sano funzionale alla crescita e alla sopravvivenza.
Molto più che la valenza negativa che siamo soliti attribuirgli, reduci da un modello culturale restrittivo e di contenimento familiare e sociale ormai ampiamente superato, oggi il ruolo della sana aggressività sullo sviluppo è riconsiderato in una luce del tutto nuova.
A questo proposito ti chiederei di leggere questo articolo, https://www.mammaimperfetta.it/2011/04/08/aggressivita-rispetto-regole/
nel quale ho trattato questo tema.
L’aggressività di Sara sicuramente esprime un messaggio, relativo al cambiamento che sta avvenendo intorno a lei, un cambiamento esplicito, e non ancora da scoprire.
Non escluderei la possibilità che lei non abbia ancora trovato lo spazio di esprimere il suo disappunto per quel che è accaduto e nei confronti della persona che (almeno in casa, e nella relazione con te) ha preso il posto del suo papà.
Trovo possibile che accettare incondizionatamente questa persona (non perché non sia un compagno valido e meritevole dell’affetto delle tue bimbe!) sia per Sara un modo di farti felice e di non procurarti dispiacere (sai, i bambini sono molto sensibili e talvolta percepiscono i nostri bisogni e le nostre fragilità più di quanto noi stessi siamo in grado di fare).
Per quel che la tua descrizione mi permette di capire su questa vicenda, al momento non impedirei a Sara di manifestare la sua rabbia verso questa persona: la trovo evolutiva, sana, importante. Troverei, invece, il modo di aiutarla ad esprimerla anche in altri modi, certa del fatto che, trovate delle alternative, il solo modo che lei conosce per esprimerla, ed anche il più immediato, regredirà spontaneamente.
Capisco bene che il momento è prematuro anche per te, mamma di Sara, dal momento che anche tu sei direttamente coinvolta nella vicenda, e che non è facile trovare la modalità ed il contesto più appropriato perché Sara possa esprimere fino in fondo tutti i suoi vissuti riguardo alla separazione, per masticarli, aggredirli, digerirli, elaborarli e farli propri, nutrendosi delle cose positive e rifiutando quelle che non sono buone per lei.
Chiederle sempre come sta, cosa le piace o non lei piace della nuova situazione, cosa le manca, cosa cambierebbe, sono sempre buone domande, che tuttavia non sempre sortiscono l’effetto sperato, se a condurle è un genitore che il bimbo cerca di compiacere.
Anche il disegno (o il gioco simbolico) è un ottimo modo di esprimere quel che a voce non riesce a dire.
Si potrebbe pensare di rivolgersi ad un terapeuta con una specifica formazione in ambito evolutivo, che possa vedere Sara per qualche incontro, permetterle di esprimere attraverso il gioco determinati vissuti, e poi lavorare su questi esclusivamente con te, mamma, in modo da sostenerti riguardo alla linea di condotta da attuare con le tue bambine. Questo per non dare a Sara la percezione di costituire un problema, al contrario, dicendole che la mamma ha bisogno di capire meglio alcune cose, e che per farlo ha bisogno anche del suo aiuto.
Concludo dicendo che non sempre la conflittualità è l’unico modo che veicola il disagio verso l’adattamento alla nuova situazione.
Credo siate stati tutti e tre (mi riferisco agli adulti) molto bravi a gestire questa situazione in modo quanto più possibile indolore per le piccole, ed anche per voi.
Vi invito però ad essere tolleranti verso le necessità di adattamento che la situazione richiede: perché per quanto il clima positivo sia un presupposto fondamentale per la crescita di tutti voi, non esclude automaticamente la fatica di viverla. E questo tu lo avrai sperimentato sulla tua pelle.
Ti faccio i miei migliori auguri, e resto a tua disposizione per ulteriori chiarimenti, ad esempio quelli relativi ad un percorso di sostegno alla genitorialità, nel caso tu decida di volerlo affrontare.
Cordialmente.
Marcella Agnone – Psicologa Psicoterapeuta
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