Domanda
Gent.ma dott.ssa Agnone,
mi ha convinto a scriverle la delicatezza con la quale risponde alle mail.
Ho un bambino di tre anni e mezzo, Pietro, molto aperto, socievole, attivo e intelligente, ma da quando è nata la sorellina (14 mesi fa) la situazione si è fatta molto complicata, è diventato aggressivo e violento soprattutto con me e con la sorella. Ho sempre cercato di non punirlo, ma di parlargli dicendogli che capivo la sua rabbia ma che non poteva picchiare nessuno. Piano piano la situazione in casa è migliorata, ci sono giorni in cui giocano vicini e ridono delle stesse cose ed ora raramente picchia la sorella. Ma la questione che mi preoccupa molto è la scuola materna, le maestre mi dicono che è sempre agitato, che non sta fermo un attimo e che picchia i compagni. Gli altri bambini lo isolano perchè ruba loro i giochi o perchè è violento nei loro confronti. E lui me ne parla “Mamma, io non ho amici” mi dice, ed io non so cosa rispondere, “mamma, gioco sempre da solo“. Lo vedo un pò perso e non so come aiutarlo, vedo che fa fatica a relazionarsi con gli altri bambini, è impetuoso e “fisico” e non tutti lo gradiscono.
Come posso aiutarlo?
Grazie mille
L.
Risposta
Cara L.,
innanzitutto ti ringrazio per il modo in cui definisci le mie risposte. Spero di poter dare a te, nel risponderti, la delicatezza di cui hai bisogno.
La nascita di un fratellino è sempre un evento molto importante per un bambino, evento che rompe gli equilibri precedenti e porta a cambiamenti di grande portata, più di quelli che noi adulti siamo in grado di vedere e considerare.
Trovo che tu sia stata molto brava nel cogliere la legittimità dei vissuti di Pietro, e nello stesso tempo nel fornirgli un contenimento chiaro e definito al comportamento, rappresentato dalla regola che non si può picchiare nessuno. La chiarezza e la semplicità rispetto alle regole educative sono un messaggio importante che aiuta il bambino ad orientarsi nella crescita.
Il bisogno fondamentale di un figlio maggiore, alla nascita del più piccolo, è quello di essere riconosciuto nella sua unicità, a cui si unisce il timore di perdere l’amore dei genitori e delle figure adulte di riferimento. Inutile cercare di convincerlo con la logica: il vissuto del bambino riguarderà, anche se poco consapevolmente, il tema della perdita dell’esclusività, sperimentata come la sola forma di affetto conosciuta prima dell’arrivo del fratello.
Pietro è un bimbo ancora piccolo, e non ha capacità di esprimere diversamente le sue emozioni, se non con la spontaneità corporea. La sua agitazione è dunque un messaggio rispetto al “come sta”. Aiutarlo ad esprimere i suoi vissuti, in un modo adeguato all’età, potrebbe essere certamente un passo importante per trovare il significato che Pietro dà alla sua “agitazione”: oltre che chiedergli direttamente cosa lo fa arrabbiare, o lo preoccupa, si potrebbe chiedergli di disegnarlo (ad esempio: “disegniamo Pietro quando è a scuola”), e provare a “mettere parola” insieme a lui. L’intento è quello di permettere al bambino di esprimere i suoi bisogni, guidati dall’idea che nessun comportamento inizia se non con un’intenzionalità comunicativa per l’Altro, in questo caso per chi si prende cura di lui.
C’è certamente “qualcuno” con cui Pietro è arrabbiato o che lo agita.
Proverei a discutere di questo con le maestre: chiedendo loro cosa ne pensano o come lo vedono, poiché è a scuola che il comportamento avviene maggiormente, e solo col loro aiuto puoi trovare una corretta lettura a ciò che accade coi compagni (sarebbe utile in questo caso il coinvolgimento di una figura professionale specifica, come lo Psicologo Scolastico, se presente in Istituto).
Posso ipotizzare che, in seguito alla nascita della sorellina, Pietro abbia bisogno di sentirsi rassicurato sul fatto di non essere stato “sostituito”, ma dal momento che questo avviene anche nel contesto scolastico, proverei a non limitarmi a questa interpretazione dei fatti: col suo atteggiamento a scuola, di certo Pietro attira più facilmente l’attenzione, ma non è consapevole di cosa veramente scatena la sua rabbia e di quale possa essere un modo alternativo per esprimerla.
Probabilmente Pietro ha bisogno di qualche messaggio più esplicito e di qualche rassicurazione: su ciò che è avvenuto, sul piano affettivo, sul fatto che l’arrivo della sorellina non ha tolto a lui le attenzioni di cui ha bisogno. Ma tutte queste ipotesi, per quanto Pietro sia molto piccolo, devono essere verificate nella relazione con lui, e cercando di fare esprimere a lui (lo sottolineo: con modalità e linguaggio adeguati alla sua età) ciò che lo fa arrabbiare.
Se l’inserimento di Pietro in un ambiente scolastico è avvenuto in concomitanza con la nascita della sorella, è probabile che questi due eventi, entrambi di rottura degli equilibri precedenti, debbano aver modificato le sue abitudini, e, con un effetto di “sommatoria”, avergli fatto percepire un cambiamento molto grande per lui. Ancora di più questo avviene se la sorellina resta a casa mentre lui va a scuola.
Del resto, per quello che scrivi, Pietro ha già una qualche forma di consapevolezza, che ti esprime nel momento in cui viene a dirti come si sente rispetto al fatto che i compagni non vogliono giocare con lui, e questo mi fa pensare che trovare un’adeguata forma di dialogo possa esprimere il cuore della sua difficoltà.
C’è una tecnica che ho già suggerito, molto semplice, per parlare con bambini piccoli di ciò che a loro non piace e che non si sentono in grado di modificare: chiedere loro cosa cambierebbero se avessero la bacchetta magica e avessero potere sulla famiglia, la casa, la scuola. È un po’ come far raccontare loro una favola (o un disegno commentato) dove possono esprimere tutto il loro potenziale emotivo e i loro desideri senza il timore di essere giudicati (è un gioco, e il gioco rende sempre liberi).
Riguardo alle favole, un suggerimento che posso darti è quello di cercare qualche libretto illustrato (i disegni sono importanti) che racconti una favola sulla relazione tra pari, sul valore dell’amicizia, sulla correttezza del comportamento nel vivere sociale. Potrebbe essere, se ti va, sia un’occasione per imparare qualcosa, sia un momento (ludico, e quindi “leggero”) in cui discutere con Pietro, commentando la favola e riportandola alla sua esperienza.
Voglio sottolineare una cosa che, per quel che hai già raccontato, forse è sottintesa: trovo che l’aggressività sia una forma sana di espressione di se stessi, e come tale vada considerata nella sfera emotiva del bambino. Questo non significa (e qui hai scelto bene come comportarti) che vadano incoraggiate le reazioni violente, al contrario; ma a volte è sufficiente riconoscere e legittimare un sentimento (“vedo che sei molto arrabbiato”) perché il bambino possa percepirsi adeguato, visto, considerato.
Spero che tu possa trovare il modo di parlare con Pietro di come lui in questo momento vede il mondo che lo circonda, e resto a tua disposizione per ulteriori chiarimenti.
Dott.ssa Marcella Agnone – Psicologa Psicoterapeuta
grazia dice
Ho un bambino di quasi tre anni e uno di uno…Sto vivendo la tua stessa identica esperienza e la tua lettera mi ha fatto tanto piacere perchè non avrei saputo desvrivere il mio bambino e la situzione meglio.
Mio Figlio a differenza di Pietro è ancora violento anche a casa e non solo a scuola…Ma la cosa che mi preoccupa è che lui ha iniziato ad avere questo attegiamento molto prima dell’arrivo del fratellino…Quindi la cosa per lui non è collegata.
Picchia il fratellino,i cuginetti e ruba i giochi a tutti…E se memoria non mi tradisce è una cosa che ha iniziato a fare prestissimo…