Domanda
Salve dottoressa. Nostro figlio ha 4 anni e mezzo e frequenta la scuola materna.
A scuola va volentieri, non esprime nessun tipo di resistenza quando lo accompagnamo all’asilo e non troviamo sia scosso quando torniamo a riprenderlo.
Fino ad ora è sempre stato un bambino disponibile ad ascoltarci e a mettere in pratica alcune regoline che ci sono in famiglia, non è mai stato un bambino che esprime il suo disagio fisicamente o verbalmente in modo aggressivo anzi a volte tende a sentirsi deluso e quindi a piangere più che reagire o farsi rispettare.
All’asilo ha sempre ricevuto i complimenti per il suo comportamento.
Ultimamente (negli ultimi mesi) il nostro bambino però sembra completamente cambiato, a scuola è attirato dai bambini più aggressivi, li imita, li segue in comportamenti poco rispettosi (anche verso le maestre). S’impone, ma credo lo faccia nel modo errato.
E’ svogliato e non ascolta o se lo fa, lo fa in modo disinteressato e annoiato (spesso mi dice: “io non metto più a posto i giochi a scuola perché non mi va!”).
Dice alcune bugie per coprire comportamenti secondo lui non giusti, teme moltissimo di essere ripreso quindi modifica la realtà.
Sinceramente ci sentiamo spiazzati, il nostro modo di educarlo, di accudirlo è sempre lo stesso cerchiamo di trasmettergli dei valori senza imposizioni ma parlando. Nella nostra famiglia il dialogo è tutto, non abbiamo mai sculacciato nostro figlio ne usato parole che avrebbero potuto denigrarlo, siamo persone presenti e cerchiamo di fargli capire che anche quando sbaglia e noi glielo diciamo o gli proibiamo qualcosa il nostro amore per lui non cambia.
Noi ci domandiamo come mai allora questo cambiamento, questa trasformazione, questo bisogno di comportarsi in questo modo? Cosa vuole comunicarci facendo così?
Grazie per la cortese attenzione.
Federica e Yaki
Rispondi
Cara Federica,
voglio cominciare a risponderti con un’affermazione che probabilmente ti stupirà: l’aggressività (definiamola così per comodità, anche se nel tuo caso non si parla di un bambino aggressivo) è una forza estremamente vitale presente in ciascuno di noi sin dalla nascita, ed ha una funzione importantissima per la crescita e la sopravvivenza.
Senza l’aggressività non è possibile masticare il mondo e farlo proprio, assaggiarne il sapore, digerirlo e assimilarlo, o rifiutare quel che non è buono per noi.
L’aggressività permette di andare incontro alla vita: senza questo movimento tutto è statico (dal latino, ad-gredior = andare verso).
Winnicott sottolineava che ci sono due facce della stessa medaglia, nell’aggressività, nutrire e distruggere: indissolubili dal momento che non si può addentare un cibo per nutrirsene senza distruggerlo.
Il riferimento all’oralità, come sottolineava Perls, è molto forte, ed aiuta molto ad esprimere la metafora. Il modello “alimentare” aiuta a rappresentare uno stile che fa da esempio a molti modelli di relazione con l’Ambiente.
Anche nello sviluppo del bambino questo paradigma si ripropone molte volte: per rendere qualcosa “buona per sé”, infatti, è necessario nutrirsene, addentarla, masticarla, assimilarla. Senza accorgercene, facciamo così per molte cose della nostra vita.
Tutto questo masticare, distruggere, dunque, non ha la valenza negativa che la psicoanalisi obsoleta o i modelli educativi rigidi di un tempo insegnavano e trasmettevano: si viene al mondo “rompendo” le membrane placentari, e da lì è tutta una serie di “rotture di equilibri” senza i quali non si promuove il cambiamento.
Andiamo ad un altro tema: le regole.
Perché una regola (come il latte della mamma per un neonato) sia davvero fatta propria, è importante che, dopo una fase in cui viene accettata incondizionatamente, venga usata come materiale da “esperimento” (come quando il bambino comincia a giocare col cibo, lo manipola, lo sputa…): dev’essere messa alla prova, contrastata, de-strutturata (“non metto in ordine perché non mi va!”) e quindi, successivamente, assimilata.
Tutto questo rappresenta un campo in cui mettere alla prova varie cose, e soprattutto le relazioni: cosa succede se metto alla prova la maestra? E i miei genitori? Mi amano solo se sono buono e bravo, o mi amano incondizionatamente? etc…
Sono solo piccoli esempi in generale, ma nel loro piccolo rappresentano lo sviluppo del pensiero del bambino, a cui sono collegati molti processi affettivi e mentali.
Il senso del potere (per un bambino intenso non come autorità o comando, ma come facoltà, possibilità, mezzo, capacità) è fondamentale per la crescita di un bambino, dal momento che gli dà il senso di fiducia in se stesso e nella possibilità di manipolare l’ambiente senza distruggerlo (e questo è un esercizio che si apprende sperimentando), vivendo il senso di efficacia che si ha sul mondo.
Tutto questo non significa che ogni bambino dev’essere totalmente libero di agire come gli aggrada, al di fuori di ciascuna regola.
L’altro elemento fondamentale, come un ingrediente, è infatti il contenimento, dato dalle regole e (ancora di più!) dalla PRESENZA DELL’ADULTO DI RIFERIMENTO (genitore, insegnante, familiare, etc.): una regola acquista senso ed importanza dentro una relazione significativa, perché quello è il luogo entro cui la regola acquista valore personale, e quindi viene assimilata.
Andiamo al passo successivo.
Il comportamento aggressivo del bambino, che ora possiamo definire tale con un significato diverso, è comunque un messaggio relativo ad un cambiamento che il bambino percepisce nell’ambiente che lo circonda, qualcosa a cui reagisce esprimendosi in un modo “diverso dal solito”. Oltre ad indicarci che Yaki sta crescendo, e si mette alla prova in modi nuovi, può farci pensare a qualcosa che a noi sfugge, e che (non posso esserne sicura, avanzo un’ipotesi) per lui invece è fonte di stress: intendo con questo forse semplicemente un elemento nuovo, qualcosa a cui deve ancora abituarsi, e a cui re-agisce (il nuovo modo di interazione sociale tra pari, la competitività nel gioco, le richieste di apprendimento, etc).
Non posso esprimermi su quale sia la novità, ma voglio sottolineare proprio la novità: è questo l’elemento che spiazza voi genitori, abituati a vedere il vostro bambino sempre in un certo modo, ed ora vi ritrovate davanti ad un bambino diverso, che cresce, che cambia, che si adatta con un meccanismo di prove-ed-errori, fino a trovare il giusto equilibrio.
Questo è il modo di Yaki di cercare di affermare il proprio Sé, la propria Personalità, e di comunicare all’Ambiente circostante le proprie esigenze.
Quello che fa la differenza, e che porta a dare a questo comportamento evolutivo la percezione di problema (vi si ripresenterà con differente entità e frequenza in diversi momenti della vostra crescita, dal momento che è un comportamento assolutamente sano e presente nella nostra esistenza) è l’interpretazione che se ne fa, e le conseguenze che il comportamento non sostenuto ha sulla vita sociale del bambino.
Il primo passo per sostenere l’aggressività di un bambino è riconoscerla:
“So che sei arrabbiato. Capisco che questa cosa non ti piace”.
Con queste affermazioni si comunica al bambino che si comprende il suo stato d’animo, si empatia con lui, e questo dà legittimità al vissuto (indipendentemente da tutto, questo è molto importante per l’autostima).
E’ possibile invitare il bambino a comunicare di più i suoi sentimenti: con un bimbo così piccolo è necessario che lo aiutiate, che troviate insieme le parole che meglio esprimono quel che prova, quel che succede al scuola, o altrove, perché un linguaggio emotivo consapevole non è ancora sviluppato. Lavorate sul “mi piace-non mi piace” del suo quotidiano (non mi dilungo, ma sono a disposizione per ulteriori chiarimenti su questo concetto), scoprite come vede e vive i momenti della sua giornata.
Non imponete regole troppo rigide, o punizioni per un comportamento che in realtà è un messaggio (soprattutto perché inusuale per Yaki), che otterranno solo l’effetto contrario. L’aggressività vera e propria non compare prima dell’adolescenza, ma nelle fasi precedenti è importante che il bambino sappia che non si ottiene quello che si desidera con la prepotenza. A questi livelli desumo che non ci sia la necessità di porre rimedio ad errori commessi (picchiare i compagni, distruggere gli oggetti), ma cercate di far passare il messaggio che per stare bene insieme ci sono delle regole che è importante rispettare, per il bene di tutti, e che quando questo non viene fatto tutti si sta un pò male. Potete usare dei libri o delle storie (acquistati o inventati da voi, o disegnati insieme a Yaki) per dare valore a questo concetto.
Infine, complimentatevi e lodatelo quando si comporta “bene”: questo servirà a far capire a Yaki che esistono dei modi alternativi di esprimere i sentimenti e di risolvere i problemi, inclusa la possibilità di rivolgersi a voi e alla maestra quando qualcosa non va. Anche se lo trovo precoce, è possibile che l’emulazione dei compagni più “vivaci” includa il desiderio di essere accettato nel gruppo (inesistente nelle fasi precendeti della crescita di Yaki e di ogni bambino), e questo può spingervi ad osservare, insieme alla maestra, le dinamiche della classe (sarebbe importante l’intervento di uno psicologo scolastico, dal momento che il tema non riguarda soltanto Yaki ma il gruppo-classe), per verificare cosa accade, e come è possibile evidenziare i comportamenti disfunzionali o diseducativi.
Conclundo con un messaggio di sostegno a voi genitori: crescere è un’avventura meravigliosa e spesso spiazzante, e comprendo pienamente quanto sia difficile stare dietro al cambiamento dei nostri figli, spesso improvviso e assolutamente non preventivato. La flessibilità e la tolleranza sono le chiavi del successo, diversamente dalla scarsa presenza e dal rigore poco empatico.
Vi faccio i miei migliori auguri, certa della Bellezza che la crescita vi porterà.
dott.ssa Marcella Agnone – Psicologa Psicoterapeuta
gabry81 dice
il commento e’ stato utile x me e’ un tantino diverso xe mio figlio e’ un po piu grande contattero volentieri la dottoressa x un parere x il mio caso..intanto saluto
Gorizia dice
Grazie!
Mi è stato tutto molto utile!