Domanda
Gentile Dott.ssa,
sono mamma di due bambine, la maggiore di 5 anni e la secondogenita di 18 mesi. Dopo un contenzioso avviato con l’Amministrazione alla quale appartengo, il Giudice ha rigettato il mio ricorso per un distacco temporaneo (fino al compimento del terzo anno del minore – art. 42 bis L. 151/01 – ) nella mia città di residenza. Ora dovrò allontanarmi dal lunedì al venerdì, nel caso in cui non dovessi ottenere il part time o se non dovessero permettermi di concentrare le 36 ore settimanali in quattro giorni.
La mia enorme paura è che tutto ciò ricada sulla serenità familiare e, sopratutto, sul benessere delle bambine.
Potrei anche sopportare lo strazio che questo distacco comporterebbe a me, ma la felicità delle mie figlie è più importante di tutto…anche di un lavoro che ho cercato, ottenuto e che faccio con passione.
Allora, che fare?
Lasciare il lavoro, con tutto ciò che comporta anche dal punto di vista economico?
Rischiare questa assurda pendolarità di 300 km, magari compromettendo per sempre lo sviluppo psico-emotivo delle bambine?
Non so cosa fare.
Risposta
Cara Cinzia,
ho letto la sua mail e mi sono trovata a fare delle considerazioni sulla situazione sperimentata da lei in questo periodo e sul quotidiano “non saper cosa fare“, proprio del ruolo genitoriale.
Decidere è difficile, lo è sempre per le riflessioni e le conseguenze che comporta. Lo è ancora di più quando non siamo solo noi a essere toccati dai cambiamenti e dalle scelte. Decidere è un’azione che definisce e delimita le nostre azioni future con un richiamo costante al significato latino dell’etimologia: recidere, tagliare, eliminare le altre opzioni possibili e non considerarle più.
Decidere ci porta a focalizzarci sul futuro delle nostre azioni, spesso però risulta difficile sganciare questo tempo da passato e presente: il tempo delle decisione è una miscellanea di desideri, aspettative, timori.
Il punto di partenza -da quanto scrive e da quello che posso dedurre- è un lavoro appassionante e fortemente voluto, un’attività da cui ha ricavato soddisfazioni professionali ed anche economiche, un bilancio assolutamente positivo. A questo punto arrivano due figlie, un ruolo genitoriale, delle nuove esigenze, delle nuove capacità e quindi la ricerca di un nuovo equilibrio familiare, personale e organizzativo che veda una soddisfazione tra tutti i vecchi e nuovi bisogni.
Non c’è nessuno che possa dirle qual è la decisione più giusta per lei e per la sua famiglia ma è interessante osservare come ha descritto la situazione che sta vivendo: una sorta di bivio in cui deve scegliere se “sacrificare” il lavoro e la stabilità economica o la serenità delle sue bambine e di se stessa. Uso la parola sacrificio con molta fatica: letteralmente significa “compiere azioni sacre” mentre solitamente è utilizzato per definire il processo di impoverimento di noi stessi a vantaggio -ipotetico- di altri.
Per rispondere alla sua domanda sullo sviluppo psicomotorio le scrivo quello che -tra le righe si intuisce- lei forse sa già: se lei ha creato un rapporto sano e profondo con le sue figlie è ovvio che si accorgeranno della sua assenza, che mancherà loro, che poi probabilmente troveranno un equilibrio nuovo se saranno affiancate da altre figure di riferimento o che ne soffriranno se percepiranno questa distanza solo come un abbandono. Ovviamente molto cambierà a seconda della durata di questa separazione, del tipo di supporto che avrete dalla rete di relazioni che vi circonda, dal tipo di rapporto che hanno con la figura paterna, dal tipo di rapporto che avete oggi e da come le bambine reagiranno.
Non c’è nessuno che le possa dire con certezza cosa accadrà: le variabili in gioco sono troppe e troppo dinamiche per prevederle. Certo è che leggendo le sue parole manca all’appello una componente indispensabile per mettere in discussione la sua e la vostra quotidianità: il senso di questa decisione.
Gli esseri umani (bambini e adulti, allo stesso modo) sono estremamente bisognosi di sapere perché si fa qualcosa, capire il senso ci aiuta a superare la fatica e le difficoltà spesso inevitabili in un cambiamento. Ad esempio non vedere la mamma per dei mesi perché è andata a lavorare all’estero durante un periodo di estrema povertà è molto differente dal non vederla per lo stesso periodo mentre è a fare il giro del mondo in crociera.
In altre parole, mi ha chiesto di enumerare i “perchè no” di questa scelta ma io non riesco a trovare nella sua mail i “perchè si”, ed è ovvio che la sua motivazione è determinante per se stessa e per tutte le persone coinvolte. Se è il suo vissuto rispetto alla lontananza è lo “strazio” cosa trasmetterà (consapevolmente o inconsapevolmente) alle sue figlie? Se lei si sente obbligata ad accettare questa situazione solo per valutazioni economiche cosa dedurranno le bambine sul loro valore? E sulla assertività della mamma?
L’unica posizione in vantaggio è quella dell’organizzazione per cui lavora, che non vuole o non ha la possibilità di farla lavorare nella sua città di residenza, ma questa disparità di soddisfazione come e quanto influenzerà lo svolgimento della sua professione? Se non avete potuto raggiungere una negoziazione conveniente per entrambe le parti e siete arrivati a un contenzioso è evidente che la relazione tra lei e l’organizzazione di cui fa parte non è fluida ed efficace. Anche questo è un costo da tenere presente perché si trasforma inevitabilmente in efficienza lavorativa, coerenza personale, salute psicofisica.
Qual è la scelta migliore? Nessuno lo sa, tranne lei.
Forse tra le due opzioni che lei sta tenendo in considerazione c’è una terza via da conoscere, forse questo non è un bivio ma una grande rotonda con possibilità non ancora esplorate concretamente e che portano in direzioni non ancora immaginate. Il mio augurio è di affrontare questa situazione come quando si entra in una rotonda con l’auto: si guarda a destra e a sinistra e poi si va con decisione, male che vada appena possibile si torna indietro e si riprova fino a quando non si trova la direzione giusta.
Gloria Bevilacqua – Psicologa e Psicoterapeuta
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