Domanda
Gentile Dott.ssa Giani,
ho quasi 41 anni, ma sono configurata “ragazza madre” per lo stato e per quel niente che orbita intorno alle posizioni come la mia.
Ho avuto un figlio -voluto- con il mio ex compagno il quale aveva già una figlia (di quasi 6 anni) con un’altra donna.
La gestione della rottura de loro rapporto è stata quanto mai tragica: reciproche sottrazioni della bambina, querele, liti, in quel clima di avvocati, servizi sociali e tutto il male che ne deriva, decidemmo che avrei riconosciuto solamente io il bambino, sopratutto perchè desideravo non trascinarlo per centri di servizi sociali a fare osservazioni filtrate da operatori, per gestire la relazione “nuova” tra padre, figlia e nuovo arrivato.
Questo il motivo per cui il figlio è “solo” mio e figlio di n.n.
Purtroppo dopo due anni di convivenza, il padre ha iniziato a dare segni di distacco, non s’impegnava non lavorava e viveva come un parassita. Questo atteggiamento stava permeando anche il bimbo che con le prime parole diceva “la mamma va in ufficio il babbo non fa niente niente niente…”.
Messo di fronte alla possibilità che avrei interrotto il nostro rapporto, entro qualche mese se nonfosse dato una scossa, e che avrei agevolato comunque i contatti con il bambino anche se c’era una situazione giuridicamente solo a mio favore, lui ha preso ad avere un atteggiamento incontrollato: usciva la sera, non tornava, oppure beveva e usciva ubriaco. Stanca di questo e del fatto che il bambino viveva un brutto nel clima, una mattina stanca di tutto , l’ho messo alla porta.
Lui non ha aspettato altro che uscire da quella porta , aveva già un’altra e per 9 mesi non si è fatto sentire, nonostante io lo chiamassi regolarmente per fargli avere contatti con il piccolo.
Ho sempre tenuto un atteggiamento distensivo, l’ho messo sempre nella condizione di avere rapporto con il bambino, ma ad oggi, dopo due anni il bambino non vede suo padre , sa che questo è lontano a lavorare che i telefoni vanno poco…
Solo da qualche mese il padre ha iniziato a telefonare almeno con una “certa” costanza.
All’interno di questa situazione (mamma, bimbo e padre che non ha diritti sul figlio -anche se io glieli riconosco e cerco di mantenere buona situazione-) in questi ultimi 19 mesi ho avuto un nuovo compagno.
Una relazione calcata su tutte quelle belle cose che ci sono nelle neo-famiglie.
Il bambino e il mio nuovo compagno si sono reciprocamente avvicinati, senza forzare o dare identità che non appartenevano.
Pian piano e inaspettatamente la nostra è diventata una famiglia, siamo cresciuti insieme e abbiamo preso i nostri ruoli.
Al bambino (che ora ha 4 anni e 7 mesi) ho sempre parlato con parole semplici della realtà, non ho confuso le figure ma ho cercato di far avere rispetto di babbo biologico e babbo acquisito, anche se non ho mai usato la parola “babbo” per il nuovo compagno.
Ma, come in ogni fiaba arriva il momento del dolore, e, così, il nostro uomo di casa, il grande, come dico io, entra in crisi a causa di una grave malattia che colpisce sua madre.
Piano piano diventa sempre più cupo, solitario fino a isolarsi e uscire dalla nostra vita due mesi fa, con rabbia senza parole e senza giustificazioni (che poi a cosa servirebbero?).
Io mi sento mozzata, incapace di prendere in mano la situazione.
Galleggio.
E con me faccio galleggiare il bambino.
Non riesco a capire come mai questo accade. La paura è che mio figlio, che ha solo me , appunto ragazza madre, nessun parente prossimo vicino per aiutarci anche solo con la presenza, abbia a che fare di nuovo con una perdita così dirompente.
E’ un bambino molto, molto intelligente, con il quale ho un rapporto sereno e profondo, non solo perchè viviamo io e lui, ma perchè cerco, mi impegno e mi sforzo di parlare con il suo linguaggio e la sua semplicità.
La cosa è grave, non so cosa fare: due mesi che lui è lontano.
Il piccino aspetta…io pure.
Con lui adesso lavoriamo insieme, ma non so affrontarlo, l’ho visto diventare così cupo e sofferente nei mesi che non riesco a parlarci.
Mi pare sia più sereno, per caso si sono trovati con il bambino qui a lavoro.
In questo periodo ho giustificato l’assenza dicendo al piccolo la verità con concetti semplici: ovvero non viene da noi perchè è molto triste per la mamma malata e vuole stare vicino a lei e stare un pochino nella sua casa.
Non riesco a trovare la spinta per capire come gestire questa ulteriore separazione, se separazione è.
Possibile sbagliare così tanto ed avere un figlio così meraviglioso?
Cercare di dare amore, stabilità, certezza, saper mitigare e aspettare…
Inizio a cedere: perdo capelli, non magio quasi niente e non so gestire più la cosa.
Sono una madre cattiva? Incapace?
Risposta
La situazione che lei mi espone è sicuramente complessa per la scelta particolare di aver deciso di non far riconoscere il suo bambino dal padre che al momento della nascita viveva con voi e che non si era opposto o vi aveva lasciati saputa la notizia della paternità.
Sottolineo questo perché il riconoscimento di un figlio non ha solo valore giuridico, ma anche valore emotivo e psicologico, mi dice chi sono i miei genitori, chi sono le figure di tutela sia legali che affettive.
Facile è spiegare al proprio figlio perché ha il cognome di mamma quando un padre ha deciso di non esserci, più complicato se, anche se a singhiozzi, questo c’è.
Solo per sfatare il mito dei servizi sociali che tolgono i bambini o che intervengono in modo sregolato (anche se a volte può accadere) queste realtà intervengono solo quando interpellate per altissima conflittualità o per situazioni più complesse, fino a qualche tempo fa l’organo competente per l’affido dei figli nelle coppie di fatto era il Tribunale dei Minorenni, oggi per situazioni di routine è quello ordinario al pari delle coppie sposate. Il male che ne deriva è perché siamo noi adulti a “strumentalizzare” i figli perché feriti per la fine di una rapporto e per il dolore legittimo che il fallimento di un rapporto di coppia dal quale è nato un figlio procura.
Tutto questo per provare a spiegarle che purtroppo scegliere di non riconoscere un figlio non ci tutela dalle difficoltà nella gestione dell’altro genitore quando un rapporto finisce e neppure dai dolori emotivi, come lei stessa poi racconta nella seconda parte della sua storia.
Quando si decide di mettere fine ad un rapporto, decisione quasi sempre complessa quando ci sono di mezzo i figli, necessita di un tempo di elaborazione e comprensione, se si riesce a farsi supportare da uno specialista in questa difficile fase, tendenzialmente le ripercussioni sui bambini sono meno fragorose di quelle che lei stessa ha vissuto in primis con la prima bimba del suo ex compagno e che adesso sta vivendo in forma diversa.
Questa era solo una cornice generale, entrando poi più nello specifico di quanto racconta, le faccio i miei complimenti per il faticoso lavoro che lei da sola sta facendo con il suo bambino, il dialogo è la base per costruire un sano rapporto coi propri figli.
È stata molto brava nel faticoso compito di spiegare al suo bambino chi fosse il suo papà naturale e il suo nuovo compagno, e con lo stesso amore e con tanta forza dovrò spiegare al suo bambino cosa sta accadendo… è sempre molto importante spiegare ai bambini usando ovviamente delle parole comprensibile quello che accade intorno a loro, anche eventi come questo che feriscono in primis noi adulti. E se ci dovessero vedere tristi, spieghi pure al suo bimbo che la mamma è dispiaciuta per quello che è accaduto, ma che a poco a poco ritornerà in forma. Questo permetterà anche al suo piccolo eventualmente di esprimere la sua rabbia e il suo dolore per quanto anche lui sta vivendo.
Gli parli anche del suo papà naturale con molta serenità, magari evitando di dirgli che non chiama perché è impegnato, so che è per proteggerlo, ma le bugie rendono i nostri figli più insicuri, trovi lei le parole per spiegare al suo bimbo che papà non sempre riesce a chiamarlo perché forse un po’ distratto.
Per poter essere però più forte con suo figlio che, al di là di un momento di transizione, poi ha bisogno di sentire la sua mamma, soprattutto se lei è l’unica figura di riferimento costante nella vita del suo bambino, pensi di farsi supportare per superare lei per prima il dolore per questo secondo importante fallimento personale. Certo questo dolore lo vive anche sul suo bambino, ma quando lei l’avrà superato ed elaborato, riuscirà a farlo vivere anche al suo bambino come un evento doloroso della vita che si può affrontare. Non si posso proteggere i figli dai dolori della vita, ma li si può supportare insegnando loro che i grandi dolori si possono affrontare.
A poco a poco è necessario che lei ricominci a vivere e non stare alla finestra ad aspettare, lo faccia per lei e per il suo prezioso bambini.
Non è una madre cattiva, anzi è una madre molto amorevole che da sola sta attraversando tante prove difficili.
Si faccia aiutare, supportare, non sempre siamo in grado di affrontare grandi dolori da soli.
Se dovesse avere ancora bisogno non si faccia problemi a contattarmi.
Mara Giani – Psicologa, psicoterapeuta e mediatrice familiare
Lia dice
A volte, nella vita, ci vuole davvero tanto coraggio, specialmente quando sono coinvolti anche i figli…a mio avviso questa mamma è stata molto coraggiosa a cercare di preservare al meglio il suo piccolo e ad avere avuto voglia di innamorarsi ancora e di dare stabilità al suo bambino! Purtroppo questo non é ancora avvenuto ma le auguro vivamente che ciò le accada al più presto! Non perdere la fiducia nelle tue capacità e non rinunciare alla felicità che tu è il tuo bambino vi meritate tanto!!! In bocca al lupo da una mamma imperfetta ed a volte disperata quanto te
marzia dice
“Non è una madre cattiva, anzi è una madre molto amorevole che da sola sta attraversando tante prove difficili…” anche io ho pensato che c’e’ tantissimo amore in questa mamma. che non e’ affatto cattiva, ma anzi si impegna per far crescere suo figlio nel migliore dei modi.Spero che riesca a mettere ordine nella sua vita, perche’ lei ed il suo cucciolo hanno entrambi bisogno di serenita’.