Per lo spazio Scritto da te, in cui ospito racconti, condivisioni di madri e padri, è arrivata una la mail di Anna, mamma e insegnante che racconta come si è svolta la gita scolastica di sua figlia e chiede di potersi confrontare con voi.
Ciao Silvia,
ho deciso di condividere con te le mie amarezze di fronte a un recente episodio non per accusare o puntare il dito verso qualcuno, ma per ricercare una soluzione condivisa e, se possibile, dare il mio contributo perché fatti che continuamente accadono sotto i nostri occhi e che coinvolgono gli adolescenti che tutti noi siamo chiamati a crescere non ci lascino più indifferenti, passivi, nella convinzione che siano piccole cose fino a quando non accade l’inevitabile. Ciò che sto per raccontare mi tocca molto da vicino come madre, ma anche come insegnante perché io penso che le persone che cercano di comportarsi in modo onesto e corretto non debbano sentirsi in colpa per le loro scelte di vita, ma al contrario possano essere di esempio e sprone a chi non crede più nella verità e nella giustizia.
Ti racconto in breve l’accaduto che ha coinvolto una classe in seconda superiore, durante la gita scolastica. Già al momento dell’arrivo in albergo accade qualcosa che posso ritenere come una leggerezza da chi era addetto all’assegnazione delle camere: due ragazzine vengono inserite, nonostante la loro opposizione, in stanza con due di un’altra scuola dello stesso istituto, per loro assolutamente sconosciute, in nome della socializzazione, che però a mio avviso non può avvenire forzatamente.
Le alunne non riescono a riposare in quella stanza, in quanto le altre due invitano, nonostante i palesi divieti delle insegnanti e i cartelli esposti, tutte le loro compagne a chiacchierare e fumare. Al mattino viene fatto presente l’accaduto alla professoressa accompagnatrice la quale, però, probabilmente, rende ancor più grave la situazione proclamando sul pullman, al microfono, che nelle stanze è vietato fumare e che le sono giunte delle segnalazioni in merito all’inosservanza di tale regola.
Naturalmente le fumatrici si sentono “tradite” e, fin da subito, con occhiate di fuoco, prendono di mira le “spie” e meditano la loro vendetta. Iniziano infatti a diffondere la notizia che in stanza sono mancate delle cose accusando senza motivo le malcapitate “whistleblower” osservatrici delle regole di aver spostato alcuni loro oggetti personali all’interno della stanza e di aver preso delle sigarette.
A seguito di nuove insistenze delle due ragazzine di poter cambiare stanza per la notte successiva la professoressa le dipinge come insofferenti e intolleranti, sminuendo il fatto con: “Non è il caso di farla tanto lunga per due sigarette” ed evitando così di difendere le regole e la buona condotta.
A questo punto io, madre di una delle due “malcapitate”, intervengo al telefono e cerco di spiegare alla professoressa che in questo caso non si tratta di capriccio, poiché mia figlia ci stava soffrendo molto in quel clima di ostilità e che non stava assimilando, in tale contesto, i valori importanti della gita come la socializzazione, lo scopo didattico ed educativo. Ma la professoressa, a cui mi ero rivolta per un aiuto a gestire la pesante situazione, riporta le mie parole davanti a mia figlia e davanti a tutti gli alunni manifestando una certa insofferenza per il mio intervento e facendomi passare da esagerata, mentre le fumatrici, che giustamente si fidano del giudizio della loro insegnante, si sentono giustificate nella loro cattiva azione, spalleggiate anche dai compagni.
Infine la punizione arriva, ma è ingiusta poiché coinvolge anche chi è innocente, solo perché si è trovato nella stanza della discordia: viene comunicato che probabilmente a tutte le ragazze che l’hanno occupata verrà trattenuta la caparra per aver trasgredito al divieto del fumo!
La professoressa replica, alla richiesta di spostamento, che per ragioni di sicurezza non si possono accomodare in cinque in una stanza (questa volta pare che le regole siano applicate alla lettera) e che alcune compagne delle altre stanze non possono accogliere le due esuli perché il loro riposo sarebbe turbato dal dormire in due in un letto. L’insonnia dunque è vicenda riservata solo alle due in questione.
Dopo varie insistenze la professoressa acconsente a sistemare sei persone in una camera da quattro (e la questione sicurezza, in cinque fortemente affermata, pare che in sei non dia problemi).
Lascio immaginare il bilancio finale di questa gita per quanto riguarda l’alto valore educativo, sociale, didattico e il notevole impatto sull’autostima personale delle due ragazzine.
Certamente le esperienze della vita non possono essere tutte positive, da sempre nella nostra famiglia si fa passare ai figli questo messaggio di non vittimizzarsi, ma rialzarsi dalle sventure con le spalle più forti, facendo tesoro di ogni esperienza, ma credo che la scuola, in quanto luogo privilegiato di educazione, debba coltivare i valori positivi e dare speranza agli onesti, altrimenti non si differenzia dalla “strada” nella quale poi ci ritroviamo gettati. Credo infatti, e come insegnante cerco di metterlo in pratica, che debbano esistere delle oasi in cui si coltiva la speranza di una società migliore, basata sull’essere e non sull’apparire, sull’ascolto dei fondamenti dell’individuo e sul rispetto reciproco e delle regole.
Provo anche una gran rabbia nel constatare che tutto tace e, lo sappiamo bene, chi tace acconsente. Il bullismo si nutre proprio di questo: del silenzio consenziente di chi vede e non interviene. Il bullismo fa leva sull’immotivato senso di colpa, di inadeguatezza, di vergogna di chi riceve ingiustizie che vengono approvate e alimentate dal mutismo della collettività. Quel silenzio e quegli sguardi che fanno male ancora di più.
Mia figlia per fortuna ha trovato in se stessa il coraggio di reagire e può raccontare quella che ricorderà in futuro come una spiacevole esperienza. Quel ragazzo precipitato dal terrazzo in gita a Milano invece non lo può fare. Quel silenzio e quegli sguardi, quelle incomprensioni lo hanno ucciso. Ritengo che non sia necessario arrivare a situazioni estreme per essere creduti, ma che l’escalation della violenza, anche tacita, vada fermata fin dai primi anelli della catena.
Per questo sono qui a scrivere perché situazioni, come è stato detto, “insignificanti” non abbiano a degenerare in tragedie.
Anna Corsini
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