Qualche giorno fa mi trovavo al supermercato a fare la spesa. Avevo una marea di borse ed ero senza carrello. Io non prendo mai il carrello.
Stavo scendendo le scale per raggiungere l’auto nel parcheggio e un signore di origine slava mi si è avvicinato.
– Dai a me tue borse, troppo pesanti.
Sul momento, ho reagito d’istinto. Ho rifiutato gentilmente l’aiuto dicendo che ce l’avrei fatta.
– Ma dai, su ma cosa farcela, troppo peso, dai a me.
E mi ha strappato le borse dalle mani.
Silvia, sii civile e lascia fare. Cosa potrà succedere di grave? Il parcheggio è illuminato e c’è ancora qualcuno.
Lui si gira, mi guarda l’altra mano e dice:
– Dillà bottiglie, troppo pesanti anche queste dai a me.
Ho dato a lui tutte e 5 le mie borse della spesa. Lui mi ha accompagnato all’auto, ha aspettato che io aprissi, è andato verso il baule, ha caricato tutta la spesa e se n’è andato, dicendomi “buona serata”.
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Ho pensato di non poter desiderare un inizio migliore per questo 2016, un anno che si preannuncia pesante, impegnativo e molto costoso in termini di tempo biologico e conseguentemente sottratto agli affetti.
Ho pensato che la bellezza è universale. E un gesto gentile anche. Che siamo così disabituati alla generosità da temere qualsiasi slancio empatico e guardarlo indagando il retropensiero.
Non voglio che i miei figli crescano così, non ci sono sempre “fregature” nascoste nelle persone. Questo lo vorrei urlare in questi giorni in cui anche un post sul blog si trasforma in un attacco percepito come personale o in uno strumento di offesa, senza magari averne compreso il progetto decennale che sta dietro e dentro queste pagine. Un conto sono le opinioni e la libertà di espressione, un altro conto è la traslazione personale e privata di riflessioni corali e pubbliche.
Diffidenza è la parola d’ordine dei nostri tempi. Senza “magari” e senza “può darsi”. Parole che io uso, invece, spessissimo perché garantiscono una sospensione di giudizio in attesa di un approfondimento e di una osservazione sul lungo periodo.
Vorrei che “approfondimento” diventasse la parola-guida delle relazioni di questo anno e degli anni a venire. Imparare a guardare dentro le cose (intus-legere). Imparare a distinguere sensazioni e giudizi. Imparare ad ascoltare i “se” e i “magari” perché sono quelli che garantiscono pluralità e dialogo.
Lavorare sulla diffidenza e trasformarla in desiderio di approfondire, ecco su cosa mi focalizzarò quest’anno con i ragazzi. Perché non succeda mai che giudichino persone, progetti, scelte e legami senza prima capirli, senza nessun “magari” e nessun “può darsi”.
Devo questo percorso anche a questo blog, che in tutti questi 8 anni mi ha insegnato ad approfondire, anche scrivendo e ragionando con voi circa situazioni e avvenimenti. Con la vostra presenza, le vostre mail e i vostri messaggi, mi avete fatto entrare nelle vostre vite. Mi avete insegnato la diversità. Mi avete accompagnato nell’analisi di innumerevoli aspetti non solo legati alla maternità. Vi ricordate il post sulla pedofilia? E quello sulla violenza in famiglia? Quello sull’utilizzo dello smartphone e sullo stare online con contenuti di valore? O quello sulla disciplina del Judo? E le riflessioni sulla tristezza? Sull’essere maestro? Gli esercizi di reslienza? E il decluttering lo ricordate? O il mio viaggio a Barcellona con Matteo? E quello sull’essere iperprotettivi? E tutto l’enorme lavoro sulle autonomie? E la fragilità? Cos’è la fragilità? Ed essere grati, alla fine, cosa significa?
Abbiamo riflettuto su quasi ogni aspetto della vita in tutti questi anni e una cosa ve la voglio dire, perché ve la meritate: il bassissimo livello di aggressività che si respira qui, nelle mail che mi mandate, nei commenti ricevuti, nelle interazioni sui social, credo sia merito proprio di questa pacatezza che abbiamo condiviso come metodo di crescita.
Non sono io che faccio girare il mondo. Però, insieme, facciamo girare i pensieri, da otto anni. Insieme abbiamo imparato a volerci bene, a perdonarci.
Attraverso queste pagine ho potuto conoscere migliaia di genitori, centinaia di associazioni, ho potuto collaborare con molte istituzioni, ho imparato a dire “sì” e anche “no”, ogni qual volta, ad esempio, mi sia stato chiesto di utilizzare questo spazio di condivisione per portare avanti battaglie anche complesse e condivisibili, ma comunque risolvibili altrove. Sapeste quante volte, davanti a qualche situazione complessa a lavoro, all’asilo, a scuola, mi hanno chiesto di parlarne qui. Ho detto tanti no, anzi, tutti no. Sempre no.
Il blog non è un’arma. Il blog, QUESTO, blog è un progetto. E, grazie a tutti loro, è diventato anche un servizio. Che da anni va in direzione opposta alla “denuncia”. Qui abbiamo riflettuto insieme, analizzato e condiviso soluzioni costruttive. Qui abbiamo lavorato sulla consapevolezza e non abbiamo MAI dato giudizi tranchant. Qui, insieme, abbiamo costruito pluralità e imparato a rispettare le imperfezioni di tutti.
Vi rilancio questo post: quando lo rileggo capisco quanta strada abbiamo fatto insieme qui sopra.
“La matrioska sembra un gioco. Ma il gioco è una forma altissima di comunicazione.
La matrioska si apre. Genera. Sa tenere insieme tutto.
Aprite tutte la bamboline e togliete solo la parte di sopra, lasciate quella di sotto, una nell’altra, in cerchi concentrici fino al “seme”: eccola lì la storia, l’archetipo. Niente prende il posto di niente. C’è spazio per tutto. Ma non c’è più spazio per niente.
La matrioska non è un uovo di Pasqua.
Quello può essere pieno o vuoto. Lei può essere tutti e due. Così piena da contenere tutti, così vuota da poter essere riempita con altro, senza che si rompa”.
Abbiamo imparato ad essere pieni e vuoti. A gonfiarci come il mare quando è grosso e a ritirarci facendo affiorare le conchiglie sulla battigia. Ad accendere il fuoco senza troppo fumo. Costruito senza distruggere. Abbiamo lavorato al tornio. Abbiamo vissuto.
GRAZIE.
Marta dice
Sono arrivata a questo blog per lavoro, ma l’ho scelto per il nome: mamma imperfetta. Sono mamma e da quando sono rimasta incinta, ho difeso il diritto ad essere imperfetta ed ho sempre voluto che mio figlio mi accettasse così come sono.
I primi articoli letti mi sono arrivati al cuore: la delicatezza, la profondità delle riflessioni, l’equilibrio…grazie per farmi scoprire un mondo, quello dei blog, dove potersi sentire accettate. Grazie Silvia.
mamma sbagliata dice
Hai dimenticato una cosa importante di questi 8 anni. Una cosa che per me ha significato molto e che mi ha dato molto: l’accoglienza.
Sentirmi accolta nel tuo blog ha fatto la differenza. Ho potuto esprimere liberamente le mie emozioni e i miei pensieri senza la paura di sentirmi giudicata.
Qui ci sono brave persone. Qui non si giudica nessuno ma si accoglie chi ne ha bisogno. Qui si ascolta prima di parlare. Qui si cresce e si comunica.
Questo è un buon posto dove fermarsi a ricaricare le batterie. Questa è un’oasi intelligente nel mare dell’ignoranza mediatica.
Grazie, a ognuno di voi.
Mammaimperfetta dice
Cara I. (perchè essere insieme da anni è anche sapere chi e cosa c’è dietro un nick), mi sono veramente commossa. Non so cosa dire.
Grazie…
Chiara dice
E se c’è un motivo per cui ti seguiamo da quasi 10 anni (senza che ti spogli o cambi…”genere” perché non fa più figo…) è proprio questo. La perfetta misura. Grazie per il tempo che ci dedichi.
Tu non parli mai della tua professione (fallo, aiuterai tanti!) ma io so che hai fatto tanto per l’azienda in cui lavori. Raccontatecelo.
Baci.
Mammaimperfetta dice
“Senza che ti spogli” mi fa ridere.
Solo perché non ho più l’età. Aahahah!
Un bacio.
marzia dice
che dire, sei Tremenda!
tremendamente entusiasmante, tremendamente fiera, tremendamente onesta, tremendamente chiara.Tremendamente riflessiva, tremendamente entusiasta. Tremendamente dentro le cose, tremendamente fuori per osservarle.
Tremendamente piena di vita. Nonostante tutto.
Anche io ti ho scoperta 8 anni fa, e non ti mollo più.
Mammaimperfetta dice
Marzia,
“nonostante tutto”: paura! Ahahaha!
Ti bacio. :-*
Andrea dice
Non ho parole. Commosso.
Sono già passati 8 anni da quel giorno in cui da Google sono arrivato qui è da qui sono arrivato a te?
Otto anni. L’età di mio figlio. Una vita digitale (e dunque reale), insieme.
Grazie per tutto questo prezioso
Lavoro di COSTRUZIONE.
A.
Mammaimperfetta dice
Andrea, grazie a te per la fedeltà.